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Un italiano in Albania, racconti di un’immigrazione al contrario. I motivi ed i primi passi.

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Mi è stato chiesto di spiegare perché un italiano dovrebbe andare a lavorare in Albania in cerca di fortuna e spiegare questo paese, che pur essendo alle porte dell’Italia, è perlopiù poco conosciuto e noto quasi solo per luoghi comuni. Invito che ho accettato volentieri perché avevo già in mente di farlo tramite un blog personale che avrei aperto appena raccolte le idee e che quindi tanto più sono lieto di realizzarlo tramite le pagine di un sito di informazione così letto e conosciuto. Innanzi tutto perché fuori dall’Italia. Beh, la risposta è complessa, variegata ma si può riassumere, andando al nocciolo in un concetto piuttosto semplice: non nutro più fiducia nelle possibilità di un paese che continua a voler vivere di gloria passata e si rifiuta di confrontarsi con un mondo che è cambiato velocemente e che sempre più lo farà in futuro. Uno scorcio dal Castello Rozafa di Scutari Allora perché l’Albania? Perché mi piacciono le sfide sostanzialmente, ma devo dir

Le imprese del Piceno puntano all'Albania

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(ANSA) - ANCONA, 10 MAR - Agroalimentare, pesca e zootecnia. Sono i settori focus su cui sono attive le collaborazioni fra le aziende del Piceno e l'Albania, al centro della Giornata Paese organizzata dalla Camera di Commercio di Ascoli Piceno e da Piceno Promozione. Un confronto per "rafforzare e consolidare i rapporti già avviati - spiega Gino Sabatini, presidente dell'Ente camerale ascolano - e per creare nuove sinergie". "C'è un forte interesse reciproco - seguita Sabatini - a incentivare occasioni di sviluppo per le imprese di entrambe le sponde dell'Adriatico. Le aziende albanesi, in particolare, desiderano acquisire know-how, conoscenze, trasferimento tecnologico. Per promuovere queste opportunità continueremo a confrontarci anche su quelle che potranno arrivare dalla Macroregione Adriatico Ionica, dall'utilizzo dei fondi Ue e di preadesione Ipa". Un rapporto, quello creato in questi anni fra il Piceno e il Paese delle aquile, n

Albania a burocrazia zero: un’impresa si apre in un giorno

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Ecco il segreto dello sviluppo: flat tax al 15% e basso costo della manodopera. Si sono già trasferiti 20mila italiani e 400 aziende Se l’Albania parla italiano non è solo dovuto al fatto che oltre metà della popolazione conosce la nostra lingua, ma è anche perché sono sempre più numerosi gli italiani che vengono qui a vivere e a lavorare. D’altronde, quello con l’Albania è un rapporto storico, che neppure l’occupazione militare ha incrinato. Non solo i rapporti tra i due Paesi sono eccellenti, ma anche i ricordi del passato sono positivi. Qui le città parlano italiano. Basta camminare per il centro di Tirana, lungo il boulevard che taglia in due la città, e si scoprono le opere dei nostri architetti, sbarcati qui già negli Anni Venti. In Piazza Madre Teresa, già piazza Littorio, lo stile italiano impera, sembra di essere all’Eur. Ma l’opera dei nostri architetti non si è fermata a quegli anni. Proprio in questi giorni, per esempio, l’architetto Marco Petreschi, ordinario alla Sapien

Agon: E’ il primo esempio di delocalizzazione televisiva per abbattere i costi

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Periferia di Tirana. Zona industriale. Tra gli agglomerati di capannoni ne spicca uno variopinto: benvenuti negli studi di Agon Channel. Agon che? Avete già digitato 33 sul telecomando? Da qualche giorno c’è un nuovo canale, si chiama Agon Channel Italia ci trasmette in italiano… dall’Albania. Non sfregatevi gli occhi per lo stupore. Trattasi di delocalizzazione. Parola ben nota tra gli imprenditori del made in Italy, dall’abbigliamento griffato alle auto, i quali, sostenendo di non reggere più costo del lavoro e tasse nel nostro Paese, spostano una parte della produzione all’estero, per poi reimportare il prodotto finito. Questo meccanismo ora coinvolge pure la Tv. E i vip. Che vanno a Tirana, un’ora e mezza di volo dall’Italia (più comodo che il pendolarismo Roma-Mila- no, credeteci), e lì realizzano le trasmissioni. Il risultato finito lo guardiamo comodi dal divano di casa: programmi coi fiocchi in studi che nulla hanno da invidiare a quelli delle corazzate Rai e Mediaset. Grandi e

Lo sviluppo passa dai Balcani

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La Chimica D'Agostino, società dedicata alla nutrizione vegetale con sede a Bari, amplia le proprie potenzialità aprendo uno stabilimento in Albania  L'amore per l'Albania in casa D'Agostino era nato da tempo e non per motivi agricoli. La società barese aveva infatti fornito 200 mila litri di disinfettanti agli ospedali pediatrici ove erano ricoverati bambini in condizioni pietose. Da allora i rapporti col Paese delle Aquile si sono intensificati, fino ad arrivare alla decisione di aprire un nuovo sito produttivo proprio in Albania. Nuovo, perché non è il primo. Nel 1995 già venne aperto infatti un impianto per la produzione di detergenti per uso domestico e industriale. Sette i dipendenti assunti e circa mille metri quadri la superficie coperta. Nemmeno una brutta esperienza passata ha fiaccato la volontà della D'Agostino di investire in Albania. Nel 1997, anno della grande crisi albanese, un giovane entrò nella fabbrica armato di Kalashnikov aprendo il fuoco

GURI I ZI: DA PROGETTO A IMPRESA SOCIALE

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Nel 2006 Idee Migranti Onlus avvia il progetto “Guri I Zi” nel nord dell’Albania con l’obiettivo di offrire un’opportunità di lavoro e reddito alle donne vulnerabili attraverso la valorizzazione dell’ artigianato tessile locale. Nel corso di questi anni, il progetto “Guri I Zi” ha dato vita a un laboratorio di produzione tessile nell' omonimo villaggio in Albania e a un punto punto vendita in Italia. La vendita dei prodotti tessili garantisce la piena sostenibilità e il progressivo ampliamento del progetto, diventato oggi vera e propria realtà di impresa sociale. Grazie a questo circolo virtuoso, è stato raggiunto un importante risultato:  iniziato con 4 donne, oggi il laboratorio tessile e sartoriale di Guri I Zi offre lavoro e reddito a 53 donne albanesi , che possono così  migliorare le proprie condizioni di vita  e delle loro famiglie. Boutique di Milano. Via S. Nicolao 10.

Dall’inizio della crisi quest’uomo ha assunto 1.500 persone. Il premio? Più tasse

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Titolare di un gruppo che conta sette call center, Umberto Costamagna è un cattolico di sinistra che crede nell’etica. Ma deve combattere con un fisco che punisce chi crea lavoro. E con un sindaco (di sinistra) che paga poco. Pensi ai call center e immagini condizioni di lavoro infernali , rivedi spezzoni di film su ragazzi pagati due soldi per stare ore e ore alle cuffie e ricordi l’ennesima, fastidiosa chiamata che ti propone di cambiare operatore telefonico o fornitore di energia. Poi incontri uno come Umberto Costamagna , un omone di 58 anni simpatico ed espansivo, e molti luoghi comuni vanno in crisi. A convincerti che conviene andarlo a trovare è una delle prime cose che ti racconta: " Dal 2008, da quando è iniziata la crisi, ho assunto 1.500 persone. A tempo indeterminato . Soprattutto giovani, donne, e al Sud". Caspita: 1.500 posti di lavoro sono l’equivalente di un’azienda media, come una Bauli o una Moncler. Perdipiù creati in Italia durante l