Dall’inizio della crisi quest’uomo ha assunto 1.500 persone. Il premio? Più tasse

Titolare di un gruppo che conta sette call center, Umberto Costamagna è un cattolico di sinistra che crede nell’etica. Ma deve combattere con un fisco che punisce chi crea lavoro. E con un sindaco (di sinistra) che paga poco.

Pensi ai call center e immagini condizioni di lavoro infernali, rivedi spezzoni di film su ragazzi pagati due soldi per stare ore e ore alle cuffie e ricordi l’ennesima, fastidiosa chiamata che ti propone di cambiare operatore telefonico o fornitore di energia.
Poi incontri uno come Umberto Costamagna, un omone di 58 anni simpatico ed espansivo, e molti luoghi comuni vanno in crisi.
A convincerti che conviene andarlo a trovare è una delle prime cose che ti racconta: "Dal 2008, da quando è iniziata la crisi, ho assunto 1.500 persone. A tempo indeterminato. Soprattutto giovani, donne, e al Sud". Caspita: 1.500 posti di lavoro sono l’equivalente di un’azienda media, come una Bauli o una Moncler. Perdipiù creati in Italia durante la peggiore recessione del dopoguerra. "E sono diventato il primo datore di lavoro privato a La Spezia, a Pistoia, nel Salento, a Locri, dove l’anno scorso mi hanno dato la cittadinanza onoraria...". Va bene, meglio andare a vedere.
La holding di Costamagna ha gli uffici a Cinisello Balsamo, nord di Milano, accanto al primo call center che ha creato: "Ho iniziato alla Pirelli, nell’ufficio del personale" ricorda. "Poi sono entrato nell’editoria e qui, grazie alle prime attività di telemarketing, ho incrociato una società di call center. Questa mi ha chiamato per fare il direttore generale e gli ho decuplicato il fatturato. A quel punto ho capito che il settore offriva grandi opportunità e nel 2002 ho aperto il mio primo call center".
La Call & Call, così si chiama l’azienda di Costamagna, decolla. Ma invece di allargarsi, si moltiplica: "La mia idea era di fondare una rete di piccole realtà artigianali, a misura d’uomo, non grandi centri". Il secondo call center lo inaugura a La Spezia ("Mi piaceva l’idea di creare posti di lavoro nella mia città"). Poi va nel Salento, sbarca a Locri, apre a Roma.
Oggi il suo gruppo conta 2.500 dipendenti, di cui appena 52 a progetto, fattura 60 milioni, è al sesto posto nella classifica del settore e ha una rete di 7 call center, tutti in Italia. Da lui un neoassunto a tempo pieno prende 1.200 euro netti per 13 mensilità e il turnover è molto basso.
Costamagna si definisce cattolico di sinistra e nei suoi discorsi fa spesso riferimento a don Milani: "L’etica è un acceleratore dell’economia" sostiene. "Se gli imprenditori si comportassero in modo serio ed etico, i primi a guadagnarci sarebbero proprio loro, perché le persone lavorano meglio e l’assenteismo si riduce". A La Spezia Costamagna ha aperto l’asilo nido in azienda, a Cinisello ha creato una coop sociale che dà lavoro a una trentina di detenuti, a Pistoia ha concesso la licenza matrimoniale a una dipendente lesbica che si è sposata in Germania.
Sempre a Pistoia ha salvato 500 posti di lavoro dopo che una società concorrente aveva chiuso e la Cgil ha dedicato a questa storia con lieto fine un dvd intitolato "La lotta perfetta". "A Locri un imprenditore mi disse: “Vieni qui, ti prendi tre anni di finanziamento agevolato e poi chiudi e ci fai un albergo”. Beh, noi stiamo lì da 8 anni, e siamo la prima azienda della Locride per dipendenti".
A uno così, lo Stato dovrebbe fare un monumento. Invece... "Invece abbiamo questa tassa assurda, l’Irap, che incide intorno al 4-4,5 per cento sul costo aziendale del personale. E poiché siamo un’impresa labour intensive, dove il costo del lavoro rappresenta l’80-85 per cento del fatturato, più assumiamo e più paghiamo tasse. Anche se perdiamo. Un paradosso: con tutta la disoccupazione che c’è non siamo affatto incentivati a fare crescere il personale". Non solo.
Essendo la Call &Call il maggiore datore di lavoro di alcune città, la Finanza si è subito attivata con i suoi controlli fiscali. Infine, su uno come Costamagna si riflette l’immagine negativa del settore, proiettata da film e tv. E qui l’imprenditore indossa la casacca del presidente dell’Assocontact, l’associazione del settore (1,3 miliardi di giro d’affari, 80 mila addetti, con le prime 10 aziende che fanno il 60 per cento del fatturato complessivo): "È vero, negli anni passati c’è stato il far west, con gente non assunta e pagata poco, con imprese che sfruttavano gli incentivi regionali per poi chiudere e scappare, e aziende che sono saltate davvero lasciando a casa migliaia di persone. Oggi la situazione per fortuna è diversa". Partiamo dalla sicurezza del posto di lavoro? "I due terzi del giro d’affari dei call center è realizzato con le telefonate fatte dagli utenti alle aziende. In pratica: chiami il numero verde di un grande gruppo e risponde uno dei nostri associati. E chi risponde deve essere assunto per legge, grazie a un provvedimento che nel 2008 regolarizzò ben 26 mila persone. Solo nel telemarketing, cioè quelli che offrono nuovi servizi o prodotti, i lavoratori non sono assunti, ma hanno contratti a progetto: la tariffa minima è di 4,8 euro lordi all’ora, cui si aggiunge una parte variabile". E la fuga dei call center all’estero, dall’Albania alla Romania? "Io per scelta non ci sono andato. Capisco chi ci va, ma penso che in futuro per le aziende la relazione con il cliente sarà sempre più importante e parlare con un operatore che vive qui farà la differenza".
Costamagna non nasconde che il settore ha ancora dei punti deboli e che la sua stessa associazione deve spesso combattere contro i "sottoscalisti" che non rispettano le regole. Ma quello che lo impensierisce di più sono le aziende-clienti, in certi casi addirittura enti pubblici, che schiacciano in basso i prezzi e spingono i call center verso lo sfruttamento. Un caso limite? Quello del Comune di Milano di Giuliano Pisapia, che per esternalizzare il suo servizio infoline 020202 ha bandito una gara offrendo un prezzo che non terrebbe conto del costo reale del personale. La gara è stata boicottata dall’Assocontact che ha fatto ricorso. Ma il paradosso è che un imprenditore di sinistra deve arrivare ad uno scontro duro con un sindaco di sinistra per difendere il diritto dei lavoratori ad avere un salario dignitoso. Come se non bastassero l’Irap e la Finanza.

Commenti

  1. Beh certo, una azienda che fattura 60 milioni con 2.500 dipendenti------- ma l'avete la calcolatrice a casa??

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